Attraverso il paesaggio. Itinerari e progetti identitari tra memoria e spettacolarizzazione

by Enrico Brighi

Maturata faticosamente la consapevolezza che nel paesaggio, ambiente naturale e opera dell’uomo sono due entità inscindibili, dipendenti l’uno dall’altra, è interessante osservare come, se da una parte l’uomo nel corso della sua intera esistenza ha cercato di manipolarlo, adattandone le caratteristiche ai propri bisogni, dall’altra sia sempre rimasto attratto dalle sue qualità estetiche. Diviso tra la sete di dominio e la devota contemplazione, il suo modo di approcciarsi al territorio ha assunto connotati plurali. Escluse quelle forme di appropriazione finalizzate all’insediamento di attività funzionali, si vuole provare ad indagare quelle esperienze in cui l’uomo si è avvicinato all’ambiente naturale con intenzioni più virtuose, in una logica di pacifica convivenza e di valorizzazione.

Un primo approfondimento è rivolto agli interventi di carattere monumentale in cui l’oggetto è inserito all’interno di una cornice precisa al fine di fonderlo in un nuovo paesaggio. Si tratta di manufatti dalle dimensioni variabili eretti come testimonianza di un avvenimento, o come tributo a persone che si sono distinte per il proprio valore, o per il servizio prestato a difesa della patria o della comunità. A questa prima categoria risalgono tutte quelle opere realizzate in Italia sotto la dominazione fascista per omaggiare i caduti della Prima Guerra Mondiale. Il memoriale, da semplice architettura che arricchisce il paesaggio con il valore del ricordo, in alcune esperienze è concepito come paesaggio della memoria.

Un caso eccezionale è quello che si erge sulle rive del lago di Como. L’opera, ultimata nel 1933, è a cura dell’architetto razionalista Giuseppe Terragni, che parte da un disegno di Antonio Sant’Elia, architetto futurista comasco che ha perso la vita nel conflitto. Una vicenda molto particolare e ricca di vicissitudini,[1] il cui risultato è degno di nota: una scultura monolitica in pietra di Aurisina e Repen dal sapore futurista e dalle linee pulite che si staglia per 30 metri, riflettendosi sull’acqua del lago. Alla sua base una scalinata conduce al sacrario alla cui sommità si legge «Con le pietre del Carso la città esalta la gloria dei suoi figli», mentre sul fronte lago è scolpita la frase scritta dallo stesso Sant’Elia il 10 ottobre 1916 «Stanotte si dorme a Trieste o in paradiso con gli eroi».

Il monumento a Sant’Elia è però solo una delle opere che si possono ammirare, a pochi metri l’una dall’altra, lungo il waterfront lombardo del lago. Nei vicini giardini del Tempio Voltiano, oltre al Tempio in stile neoromanico[2] è collocato il Monumento alla Resistenza Europea, realizzato nel 1983 dallo scultore Gianni Colombo contro i regimi nazi-fascisti che hanno portato allo sterminio di milioni di persone durante la Seconda Guerra Mondiale. Il monumento, in cui sono raccolte pietre provenienti dai campi di sterminio nazisti e dalla città di Hiroshima, è formato da tre scale in pietra orientate verso tre grandi lastre inclinate in corten su cui sono incise frasi pronunciate da vittime dei regimi stessi.

Sul medesimo asse, a conclusione del pontile della diga foranea, si può invece osservare Life Electric, installazione del 2015 disegnata da Daniel Libeskind in onore dello scienziato Volta. Due sinusoidi cangianti alte circa 14 metri emulano la tensione elettrica di due poli di una batteria, fisicamente rappresentati dal Tempio di Volta e dal Faro voltiano (a Brunate).[3] Collocata su una fontana, l’opera è leggera e permeabile e le sue linee sono state studiate per incorniciare il paesaggio naturale circostante senza occluderne mai la vista. Per amplificare la carica emozionale sono stati pensati giochi di luce, attraverso l’inserimento di led a variazione biodinamica, enfatizzati da un impianto di nebulizzazione che vuole rendere ancora più eterea l’intera scenografia.[4]

Il sacrario militare costituisce forse la forma più solenne per onorare il ricordo dei soldati caduti sul campo e si trasforma in paesaggio della memoria negli anni Trenta e Quaranta, quando si decide a livello nazionale di garantire degna sepoltura a coloro che avevano sacrificato la propria vita nella Grande Guerra.[5] Sono veramente numerose nell’Italia nord-orientale le architetture destinate ad ospitare le spoglie degli eroi nazionali e la loro costruzione vuole celebrare i luoghi più significativi del conflitto. Due progetti commissionati all’architetto Giovanni Greppi e allo scultore Giannino Castiglioni, rispettivamente sulla sommità del Monte Grappa e a Fogliano Redipuglia, costituiscono un’interessante interpretazione di questo tipo di monumento. Per dimensione, complessità e capacità di integrazione possono infatti considerarsi delle vere e proprie architetture scolpite nel paesaggio.

Il primo, realizzato tra il 1932 e il 1935, ospita 12.615 salme (di cui 10.332 ignote) dell’Armata del Grappa (IV) e si configura come un grande sistema terrazzato con cinque gironi circolari e concentrici alti 4 metri e larghi 10, che digradano lungo il costone del monte, ridisegnandone il profilo. L’ascesa lungo la scalinata che porta a Cima Grappa, costellata da una serie di lastre di bronzo incastonate nelle pietre del Grappa e intitolate ai caduti identificati, sembra omaggiare l’ascesa al cielo degli eroi. Alla fine della salita, dopo aver aggirato il monumento intitolato al maresciallo Giardino, si giunge alla Cima Grappa (1776 metri), sul piazzale in cui si trova il sacello della Madonnina. Da qui ha inizio la via Eroica – un tappeto bianco marmoreo scandito da 14 cippi rappresentanti i monti delle più importanti battaglie – che si conclude in Portale Roma, il punto di demarcazione tra il versante italiano e quello austroungarico. Sulla sommità del tempio è collocato un osservatorio che permette di dominare tutto l’altopiano, e da dove, grazie a una planimetria bronzea, è possibile identificare e contemplare quei luoghi che portano ancora i segni delle più importanti battaglie del Grappa.

Nel Sacrario di Redipuglia (1935-1938), noto anche come “Sacrario dei centomila”,[6] gli stessi autori del Monte Grappa organizzano i tipici elementi del Sacrario – la via Eroica, il piazzale e il sito delle inumazioni dei noti e non. Come nel caso del Monte Grappa, il Sacrario si articola su un sistema di 22 gradoni terrazzati alti 250 centimetri che comincia dalla via Eroica, dove 38 lapidi in bronzo riportano i nomi delle località dei combattimenti del Carso. Tutto l’impianto è rigorosamente simmetrico e costruito su un asse focale prospettico che culmina nelle tre grandi croci bronzee poste alla sommità del monte. Sotto di esse riposano i caduti ignoti,[7]divisi in due grandi tombe comuni, vicino alla cappella votiva. Alla base della composizione sono posti i monoliti che identificano le tombe del Duca d’Aosta e dei Generali, mentre la grande scalinata custodisce, in ordine alfabetico, le salme dei caduti noti. Questa gradonata, percorribile solo da due rampe laterali, rappresenta l’anima del sacrario e la scritta in rilievo su ogni alzata «PRESENTE», ripetuta volutamente in forma ossessiva per tutta la lunghezza del gradone, amplifica il martirio di coloro che hanno risposto coraggiosamente alla chiamata della Patria, suscitando nell’osservatore una forte emozione.

Il Sacrario di Redipuglia è forse il monumento più conosciuto del Carso, ma negli ultimi anni grazie al masterplan Carso 2014+ promosso dalla Provincia di Gorizia e firmato da Andreas Kipar, tutto il territorio è oggetto di un ambizioso progetto di valorizzazione culturale, paesaggistica e storica finalizzato a innescare nuove forme di sviluppo, anche economico, all’insegna della memoria e delle identità locali ma anche dell’ambiente naturale.[8] I diversi luoghi che sono stati scenario della Grande Guerra vengono finalmente pensati in maniera organica e strategica per dare vita a un unico paesaggio della memoria ‒ un museo a cielo aperto in cui fare esperienza attiva dei siti storici, restituendo loro attenzione, anche attraverso il ricorso ai nuovi strumenti della realtà virtuale. Il masterplan prende forma grazie a un concorso del 2010 che vede vincitore il gruppo capeggiato da Paolo Bürgi.[9] Nello specifico la proposta si concentra sulla sistematizzazione di tre ambiti, attraverso la riscoperta e la valorizzazione di una serie di percorsi: l’area del Sacrario, il lago di Doberdò a Castellazzo e la “zona Sacra” del Monte San Michele. Si tratta di piccole azioni volte a promuovere l’identità dei luoghi, senza comprometterne la natura o alterare i siti originari. In un paesaggio così stratificato dai segni e dai cimeli che la guerra ha depositato sulla roccia, gli itinerari sono ridisegnati attraverso sottili lastre di calcestruzzo e spogliati degli aspetti superflui per far emergere i segni della storia e le caratteristiche naturali della regione. I percorsi si muovono attraverso la grigia roccia carsica del monte San Michele e si concludono con due terrazzi aggettanti che traguardano il fiume Isonzo a nord, e il mare a sud-est.

La Seconda Guerra Mondiale costituisce l’altro grande appuntamento carico di dolore che ha afflitto l’intero pianeta, accanendosi soprattutto, attraverso le discriminazioni razziali, su alcuni individui.

Un caso particolarmente interessante per la sua articolazione nel paesaggio si trova in Croazia, a Jasenovac, dove prima sorgeva, sulle rive del fiume Sava, un campo di concentramento e sterminio in cui sono state uccise e bruciate migliaia di persone. Cancellate tutte le tracce del campo, si decide a distanza di anni di costruire sul suo sito un monumento commemorativo, noto nella lingua locale come Spomenik.[10] L’incarico per la realizzazione è assegnato da Tito in persona all’architetto serbo Bogdan Bogdanović che, rinunciando programmaticamente a rievocare le brutalità avvenute o le sofferenze, disegna un grande fiore in cemento a sei petali che inneggia all’idea di riconciliazione.[11] La scultura, inaugurata nel 1966, è alta 24 metri e presenta alla sua base una cripta, punto di arrivo di un percorso pedonale in traversine di legno che recupera l’antico tracciato dei binari ferroviari che conducevano i deportati al campo. Tutto il paesaggio del memoriale, in cui oggi è anche presente un museo sul genocidio, è progettato con due grandi specchi d’acqua e una serie di tumuli di terra di forma circolare che dovrebbe ricostruire la collocazione degli edifici scomparsi del campo. Tutto è immerso in una atmosfera di grande silenzio e pathos in cui l’autore vuole spingere il visitatore a meditare sulle atrocità commesse.

Un interessante tributo alla resistenza italiana è invece realizzato ad Ancona, all’interno della cornice del Parco del Pincio. Si tratta di un vero e proprio progetto di paesaggio inserito sul colle San Lorenzo, che domina la città, a cui contribuiscono da una parte gli scultori Pericle Fazzini e Giovanna Fiorenzi, autori rispettivamente della scultura in bronzo a monte e del cancello di ingresso a valle del parco, e dall’altra gli architetti Gilberto Orioli e Paola Salmoni chiamati ad ambientare le opere nel giardino. Tra il 1964 e il 1965 il parco, sviluppato su un declivio particolarmente franoso, viene completamente ridisegnato da un sistema di rampe e muri di contenimento che accompagnano la salita verso la scultura in una successione di stanze terrazzate da cui è possibile ammirare in posizione privilegiata il mare e la città sottostante.

Lo stesso approccio di riscrittura paesaggistica è ammirabile nel cimitero militare germanico realizzato tra il 1961 e il 1967 sull’Appennino tosco-romagnolo, nelle vicinanze del passo della Futa.[12] La linea gotica diventa lo scenario in cui l’architetto Dieter Oesterlen disegna, con i paesaggisti Walter Rossow ed Ernst Kramer, il Cimitero dei Vinti. Le sepolture sono ordinate su terrazzamenti che seguono una spirale di pietra serena che avvolge la montagna, assecondandone l’orografia; il percorso si conclude con una grande scheggia di 12 metri, in corrispondenza del piazzale della cripta. Il paesaggio si presenta austero e silenzioso, e la risalita si configura come un momento di pace che invita a riflettere sulle ricadute delle atrocità belliche. Dopo tanti episodi di consacrazione degli eroi, al passo della Futa anche gli sconfitti, condannati severamente dalla storia, diventano protagonisti di un nuovo messaggio di pace fruibile, tra gli altri, da tutti gli escursionisti che ne solcano il territorio.

Nelle opere descritte la memoria è stata evocata e celebrata nelle sue forme più emozionanti, in relazione a momenti straordinari che hanno segnato in maniera indelebile e trasversale la storia dell’intera umanità. La memoria però assume più spesso la valenza della semplice testimonianza, traducendosi in un sistema di oggetti e tracce che permettono di conservare e restituire le identità dei territori, attraverso il racconto dei loro palinsesti. In questa prospettiva un caso particolarmente rilevante è quello delle Route der Industriekultur tedesca,[13]un progetto di riscoperta e valorizzazione territoriale che prende forma nella regione della Ruhr, conosciuta a livello internazionale per le sue risorse minerarie e le sue industrie siderurgiche. Quello della Ruhr, fiume che ne bagna il territorio, si contraddistingue come episodio virtuoso di riscatto di una regione la cui immagine è stata per decenni offuscata dal fumo delle sue industrie. Con la dismissione di molte di queste realtà, alla fine degli anni Ottanta, il territorio ha avviato, con la  realizzazione del parco regionale dell’Emscher, un percorso di rigenerazione all’insegna di natura, storia e arte che si corona nel 2010 con l’assegnazione a Essen del titolo di Capitale della Cultura Europea.

A vent’anni dal suo concepimento, la Route attraversa un territorio bonificato e rinaturalizzato, carico di attrazioni orientate all’ecologia e alla memoria. Al suo interno sono identificati numerosi punti di interesse, organizzati in base alle loro offerte: i nodi principali, cioè i luoghi particolarmente significativi e di grande interesse (ankerpunkte); i punti panoramici da cui è possibile ammirare il patrimonio industriale; (panoramen der industrielandschraft); gli insediamenti storici (bedeutende siedlungen).

Alla prima categoria appartengono per esempio quei parchi realizzati su siti minerari o siderurgici dismessi. Una volta bonificate, queste grandi aree sono state reinserite nelle dinamiche territoriali attraverso progetti integrati capaci di fornire servizi, anche di carattere ecosistemico. Due eccellenze di fama internazionale sono il Landschaftspark di Duisburg[14] – dove l’archeologia industriale rinasce in un parco multifunzionale dall’alta naturalità e dai percorsi suggestivi che si snodano tra le antiche strutture siderurgiche – e Zollverein[15] nei dintorni di Essen, grande centro culturale ricco di eventi ed esperienze inconsuete, come il bagno estivo nella piscina ricavata in un container o il pattinaggio su ghiaccio invernale nella vasca dell’impianto di cottura della ex cokeria.

Di differente concezione sono invece i progetti paesaggistici finalizzati a realizzare punti panoramici su siti artificiali destinati precedentemente a mere discariche minerarie. A quelli di origine storica, come la torre del Kaiser Wilhelm Denkmal a Hohensyburg[16], vengono affiancati nel tempo nuovi landmark che forniscono eccezionali esperienze, estetiche e ricreative, nel paesaggio bonificato della regione. I numerosi depositi di materie prime che, con la loro altezza, punteggiano il territorio della piana tedesca, diventano supporto per scenografie particolarmente pittoresche in cui l’opera, posta alla sommità delle alture, è sempre raggiungibile attraverso promenade o scale che offrono scorci mutevoli sul paesaggio. Un caso particolarmente significativo a cavallo tra parco e landmark è il Landschaftspark Hoheward, precedentemente noto come Emscherbruch Landscape Park, realizzato sul più grande cumulo minerario della Ruhr, un altopiano artificiale di oltre 200 ettari che supera i 150 metri di altezza. Composto dai cumuli inverditi di Hoheward e Hoppenbruch, questo parco presenta un andamento molto irregolare che si insinua nell’urbanizzazione di pianura, garantendo molti punti di risalita e percorsi dal diverso grado di pendenza o artificialità su cui si distribuiscono alcuni balconi da cui ammirare il paesaggio. Uno dei più interessanti è collocato nel parco distrettuale Hochlarmark in cui il Ponte dei Draghi, una passerella pedonale in acciaio che assume a tutti gli effetti le sembianze di un grande drago rosso, permette di traguardare la sommità della parte di Hoheward dedicata principalmente alla scienza astronomica. Qui si collocano l’Horizontobservatorium (2008), due archi in acciaio con un diametro di circa 90 metri sotto i quali è descritto uno spazio circolare da cui osservare alcuni effetti astronomici e geografici, illustrati in pannelli esplicativi, che ricordano quelli dell’antica Stonehenge[17], e, a poche centinaia di metri, il Sonnehur, un obelisco che funge da meridiana, proiettando la propria ombra su una piattaforma lapidea. Più lontano, e a una quota inferiore, si trova invece l’Ewald Empore, un’architettura cubica in metallo da risalire come una torre di osservazione.

Il fenomeno della Ruhr ha sollevato molto interesse e anche artisti quali Richard Serra hanno deciso di contribuire alla rigenerazione del paesaggio con una installazione realizzata nel 1998. La sua opera si configura come una lastra in acciaio corten eretta al centro della sommità della Schurenbachhalde (Essen). Raggiunta la cima della discarica la scultura appare lontana, una linea che solca la superficie piatta di un paesaggio arso, dal sapore metafisico. Solo avvicinandosi l’uomo si misura con l’imponenza della scultura – alta 15 metri e larga 4,5 – provando una crescente sensazione di finitezza e inferiorità cosmica.

Se la scultura di Serra nasce per essere osservata, in altre opere il visitatore è invitato a interagire, potendo percorrere la struttura in un’esperienza dalle forti emozioni.  Nel Tetraedro che sormonta la discarica di Beckstraße a Bottrop[18], guadagnata la sommità dell’altopiano della ex miniera di Proper dopo una camminata immersa nel verde, si è catturati dalla contrapposizione tra il leggerissimo e fluttuante telaio in acciaio alto 60 metri e la superficie piatta di roccia che si estende ai suoi piedi. Se dall’altura è già possibile godere di una vista suggestiva, questa diventa spettacolare nella salita al tetraedro, pensato come una contemporanea torre piramidale di osservazione da risalire grazie a 387 gradini in lamiera forata che connettono tre terrazze dalla pavimentazione grigliata e dall’inclinazione variabile, pensate per trasmettere un senso di vertigine e grande instabilità.

A Duisburg, nelle Magic Mountain Tiger and Turtle (2011) l’esperienza diventa il principio che guida gli artisti Heike Mutter e Ulrich Genth. Sul Heinrich-Hildebrand-Höhe, in un’area già vocata al divertimento, la scultura diventa un vero e proprio intrattenimento pedestre per coloro che decidono di salirne le scale. L’opera, infatti, è un omaggio alle montagne russe. A differenza di quelle tradizionali, però, le sinuose linee che disegnano il telaio zincato danno vita a un emozionante circuito da percorrere a piedi che consegna al visitatore una percezione dinamica e sempre mutevole del paesaggio. Le vibrazioni della struttura, che tocca i 13 metri di altezza, e la trasparenza delle superfici aggiungono alla componente estetica anche una carica emozionale, per un’esperienza complessiva veramente stimolante in cui il visitatore diventa parte attiva dell’opera. Entrambe le architetture sono pensate anche come delle poetiche lanterne che, con le loro geometrie di luce colorata, contribuiscono, insieme agli altri landmark luminosi, a disegnare le notti della Ruhr.

Come nel caso della cultura industriale, l’itinerario paesaggistico costituisce oggi la strategia territoriale più efficace per tessere e raccontare i territori contemporanei in una logica di riscoperta delle peculiarità e delle identità dei luoghi. Questa forma di attraversamento, orientata verso la lentezza e l’ecologia, ha cominciato a diffondersi in tutti i tipi di paesaggio, con una rinnovata attenzione per quelli della tradizione agricola[19]. In questa offerta, sempre più plurale, i contesti dalle elevate qualità ambientali rappresentano il supporto preferenziale per progetti di valorizzazione e promozione territoriale. Progetto e architettura diventano strumenti volti alla costruzione di scenografie paesaggistiche dalla percezione amplificata.

Sotto questo profilo, le Alpi offrono numerosi spunti per opere di spettacolarizzazione: varie attrazioni a prova di vertigine distribuite puntualmente – e di cui due esempi sono le doppie passerelle dell’AlpspiX progettate dai Wallmann architekten a Garmisch Partenkirchen (Germania) e la piattaforma panoramica del Top Tyrol disegnata dai LAAC Architekten sul ghiacciaio Stubaier (Austria).

Un caso in cui le opere si susseguono, identificando un vero itinerario, è quello del Passo Rombo/Timmelsjoch, che parte da Moso in Val Passiria (Alto Adige) per concludersi a Hochgurgl (Tirolo).

Mentre la strada del versante austriaco risale agli anni Cinquanta, quella italiana è di un decennio successivo e si realizza sul tracciato di una vecchia mulattiera costruita negli anni Trenta per fini militari. Il progetto di valorizzazione risale a metà degli anni Duemila ed è curato dall’architetto Werner Tscholl[20] che lo organizza in una serie di stazioni caratterizzate da un’architettura perfettamente inserita nel linguaggio alpino, in cui appositi padiglioni forniscono informazioni sulla regione e piccole esperienze sensoriali. L’itinerario, interdetto al traffico pesante, è un percorso poetico che unisce due paesi un tempo rivali e ora ricongiunti, la cui storia è sussurrata nel silenzio della montagna da quelle che Marco Mulazzani definisce «piccole architetture “parlanti”[21].

A partire dal versante italiano si incontrano: Granati, che prende il nome dalle conformazioni cristalline tipiche della Val Passiria, è composto da due oggetti scultorei di cui uno cavo cristallino che funge da belvedere e uno pieno cementizio che descrive il sistema; Telescopio, due cornici ortogonali tra loro, rivolte verso il Monte Principe e il Monte dei Granati; Museo del Passo, in cui la storia del passo è raccontata in un “masso” sfaccettato che, ancorato al suolo austriaco, si protende a sbalzo per 16 metri su quello italiano; Contrabbandiere è un padiglione sulla storia dei traffici del passo accessibile da una sagoma umana scavata nel volume; Ponticello è un’architettura articolata che racconta la storia degli insediamenti umani nella regione e da cui ci si può affacciare sulla natura sottostante (è collocata in prossimità del Top Mountain Motocycle Museum progettato da Michael Brötz).  Nel 2018, in occasione del cinquantenario della realizzazione del versante italiano e del centenario della fine della Grande Guerra, è realizzato, a partire da una caserma militare poco distante dal Museo del Passo, il Timmel Transit Museum.

Tutte queste esperienze possono apparire limitate se paragonate all’articolato sistema delle Nasjonale turistveger norvegese (Norwegian scenic routes)[22]. Si tratta di un corposo programma di infrastrutturazione, valorizzazione e promozione turistica fondato sull’incontro di natura, architettura e arte. In un territorio in cui la bellezza dei paesaggi naturali costituisce la principale risorsa culturale, con i   fiordi e le foreste a rappresentarne gli elementi identitari, lo Stato ha attivato un piano di infrastrutture in grado di fornire servizi necessari alla sussistenza del territorio e dei suoi abitanti, allo stesso tempo enfatizzandone le qualità e l’immagine a vantaggio del turismo. Dal 2002, tutti gli interventi di natura ingegneristica sono perciò trasformati in occasioni per sperimentare approcci creativi attraverso concorsi che premiano le migliori architetture e installazioni artistiche. Sul territorio nazionale sono state identificate diciotto strade panoramiche[23] in continua evoluzione, dove oltre all’esperienza dell’attraversamento di luoghi esteticamente emozionanti, viene offerta ai visitatori l’opportunità di conoscerne la storia e di intrattenersi piacevolmente. In ogni strada sono segnalati punti di interesse in cui è possibile ottenere informazioni, servizi, o semplicemente vivere un’esperienza estetica che, grazie alle installazioni realizzate, acquista intensità. Dal sito ufficiale è possibile inoltre consultare ogni itinerario, scaricarne la mappa o la brochure illustrativa e condividere esperienze.

Geiranger-Trollstigen fornisce una sintesi esemplare di tutto quello che questo grande progetto corale può offrire. Gli autori delle varie opere presenti, anche se sempre citati, passano in secondo piano per lasciare spazio alla forza del paesaggio che hanno contribuito ad arricchire. Trollstigen si distingue per i siti attraversati, alcuni dei quali patrimonio Unesco, e il numero di attrezzature in cui è possibile fermarsi, sostare e perfino dormire. Linge ferjekai è un piccolo terminal del traghetto attrezzato con una sala di attesa vetrata affacciata sul fiordo e servizi igienici inseriti in un’architettura dal linguaggio contemporaneo disegnato dallo studio di Knut Hjeltnes. Il Juvet Landscape Hotel progettato dallo studio Jensen & Skodvin è una piccola struttura di sole nove alloggi indipendenti che si adattano per forma e materiale al paesaggio della foresta di betulle in cui sono immersi.

I belvedere rappresentano però le aree di maggiore interesse, in cui i visitatori possono osservare il paesaggio dei fiordi, scolpendo nella loro memoria immagini uniche: Ørnesvingen è un punto panoramico che si apre sul fiordo di Geiranger lungo i tornanti che portano da Geiranger a Eidsdal. Progettato da un gruppo composto da architetti e un artista[24] il belvedere si struttura come una terrazza con sedute che si affiancano a una piccola cascata. Il massimo lirismo si raggiunge però a Trollstigen dove lo studio Reiulf Ramstad Arkitekter ridisegna discretamente il paesaggio selvatico attraverso architetture mimetiche e percorsi in cemento che si dirigono verso una serie di terrazze panoramiche in corten che si affacciano su uno sbalzo di circa 200 metri, lasciano il visitatore senza fiato.

La Norvegia costituisce uno dei casi più interessanti in cui le diverse scene capaci di emozionare un visitatore diventano oggetto di estrema enfatizzazione attraverso un progetto di sistematizzazione in cui un ruolo chiave è attribuito all’architettura, che si mette a loro servizio per restituirne una percezione amplificata.

Oggi che le questioni ambientali e climatiche sono diventati temi ineludibili per le agende urbane e nazionali, anche la pianificazione territoriale e infrastrutturale sembra concentrarsi sempre di più sulla mobilità dolce, cercando di integrare e sistematizzare le reti leggere esistenti, accogliendo così le istanze dello slow living e dell’ecoturismo. Le ciclovie, che in alcuni paesi come la Danimarca o l’Olanda hanno già guadagnato un ruolo privilegiato nelle dinamiche di attraversamento, assumono un ruolo chiave nell’intelaiatura territoriale, permettendo di restituire nuove esperienze di percezione ed esplorazione del territorio e valorizzando le emergenze toccate e le tipicità dei diversi contesti.

Se progetti territoriali come quello della ciclovia del Sole[25] e VENTO (vedi Paolo Pileri) assumono una dimensione culturale con l’ambizione di rigenerare territori fragili attraverso un altro modo di fare turismo lento,  esistono però tanti altri progetti più circostanziati che si contraddistinguono per l’attenzione al disegno della pista stessa che diventa quindi uno strumento che conferisce forza alla narrazione.

L’artista e designer Dan Roosegaarde propone, attraverso le sue opere e installazioni, un nuovo approccio ecologico al paesaggio, e alle sue forme di attraversamento. Nella pista ciclabile Van Gogh-Roosegaarde[26], divenuta famosa come Van Gogh path, insegna come una progettazione innovativa della linea possa diventare strumento stesso di narrazione. Sviluppandosi per un chilometro a Nuenen, nei luoghi in cui Van Gogh è vissuto tra il 1883 e il 1885, la superficie della pista di notte si illumina, disegnandosi con geometrie ispirate alla Notte stellata dipinta dal pittore olandese nel 1889. Abbandonata la tradizionale illuminazione laterale, il percorso stesso diventa un corpo luminoso grazie a 50 mila pietre scintillanti dotate di tecnologia glow-in-the-dark e luci a LED ad energia solare che assorbono energia luminosa dalle radiazioni solari e la rilasciano al calar del sole. In questo caso la pista diventa un dispositivo capace di evocare le atmosfere del pittore, permettendo a chi la percorre di sentirsi parte dell’opera.

Lo stesso modo di illuminare il percorso, dando vita a percorsi particolarmente suggestivi, anche se meno poetici, è utilizzato anche in altri contesti. In Italia, nella località di Chiavica[27], un tratto di ciclabile di 5 km chilometri che corre lungo le sponde del Ticino, in un’area sottoposta a vincolo ambientale, è realizzata con una particolare resina[28] in grado di assorbire la luce solare, rilasciandola di notte. L’opera, voluta fortemente dalla popolazione, permette una nuova esperienza visiva del paesaggio fluviale, ma rispettosa delle sue componenti ambientali.

Anche sul lago di Garda è stata da poco completata una pista a impatto zero, già soprannominata “ciclovia dei sogni” per la bellezza del territorio che attraversa e per l’esperienza panoramica che il manufatto permette di vivere. Opera ingegneristica realizzata in acciaio e legno, la pista presenta tratti in cui corre a sbalzo sull’acqua, ancorata alle pareti rocciose della SS45 bis Gardesana Occidentale, e altri in cui si addentra in vecchie gallerie dismesse. Inserita nel più vasto progetto di Garda By Bike[29], la ciclabile parte da Capo Reamol, a Limone sul Garda (BS), e si estende per pochi chilometri fino  al confine con il Trentino Alto Adige.

Altrettanto affascinanti sono il territorio e l’esperienza al limite che si possono vivere nel “Muro di Sormano”, una breve ma durissima salita che da Ponte del Corno (CO) si snoda per circa 2 km e quattro tornanti, per raggiungere la cima posta a 1124 metri. Rinomato per essere uno dei percorsi ciclistici più difficili, tanto da essere escluso per decenni dal Giro di Lombardia, presenta un dislivello di 300 metri con una pendenza media del 12% e punte del 25%. Dopo anni di crescente degrado, che ne aveva impedito la percorribilità ciclistica, nel 2006 l’amministrazione decide di riqualificarne il sedime. È grazie a questa occasione che lo studio Ifdesign r ealizza un’interessante opera di architettura del paesaggio. Il progetto prevede di conferire una nuova immagine al suo percorso attraverso il disegno della sua superficie. Sulla stretta lingua di asfalto sono disegnati inserti info-grafici, appositamente pensati, che vogliono raccontare le caratteristiche del percorso, del territorio che lo circonda e della sua storia, o suggerire scorci panoramici. Realizzato con scarse economie, il progetto trasforma quella che un tempo era una semplice lingua di asfalto in un itinerario narrativo. Percorrendolo, è possibile non solo desumere informazioni sulla struttura fisica del territorio e sulle sue emergenze paesaggistiche, ma anche rivivere le gesta di quei campioni del passato che ne hanno costruito la storia.

[1] Cfr. A. Saggio, Giuseppe Terragni. Vita e Opere, Laterza, Roma-Bari 1995.

[2] Opera dell’architetto Federico Frigerio, è stato inaugurato nel 1928. Adibito a museo, al suo interno sono raccolti cimeli voltiani.

[3] Di pianta ottagonale, è stato costruito anch’esso in onore di Alessandro Volta nel 1927 su progetto dell’ingegnere Gabriele Giussani.

[4] Cfr. //www.lifeelectric.it/

[5] Si decide in questi anni di trasferire le spoglie contenute nei numerosi cimiteri di guerra sparsi sul territorio in sacrari dove potessero riposare tutte insieme.

[6] Nel Sacrario sono custodite le salme di 100.187 soldati italiani e dei 15.000 austroungarici che hanno perso la vita in queste zone nella IGM.

[7] Sono 39.857 i soldati riconosciuti, mentre le restanti salme non sono state identificate. Al centro del primo gradone si trova il loculo, contrassegnato da una croce, dell’unica donna sepolta nel sacrario, la crocerossina volontaria Maria Kaiser Parodi.

[8] Obiettivo del progetto di valorizzazione e promozione territoriale è sistematizzare i principali luoghi del Carso: la città di Gorizia e l’itinerario del Monte Calvario; il Museo all’aperto del Monte San Michele e San Martino del Carso; il Museo all’aperto della Dolina del XV Bersaglieri; il Parco della Pace del Monte Sabotino; il Parco Tematico della Grande Guerra di Monfalcone; il Percorso Storico del Brestovec.

[9] Studio Bürgi, capogruppo; Glass Architettura Urbanistica; Thetis spa; Laut Engineering srl; arch. Stefano Alonzi.

[10] Spomenik: sono monumenti voluti da Josip Tito tra gli anni ’60 e ’70 per commemorare le vittime della II GM.

[11] Cfr. Il database nazionale digitale //www.spomenikdatabase.org/jasenovec

[12] È il più grande cimitero germanico su suolo italiano realizzato dopo l’accordo approvato con la legge 80 del 12 agosto 1957 per garantire decorosa sepoltura ai soldati tedeschi. Su una superficie di 12 ettari sono ospitate 30.683 salme, provenienti da 2.069 comuni italiani.

[13] La Route der Industriekultur è un circuito regionale tedesco inserito nella European Route of Industrial Heritage, progetto finanziato dalla Unione Europea tra il 2003 e il 2008 (programma di supporto INTERREG III B – Europa nordoccidentale) interessando tutto il continente. Cfr. //www.erih.net/ Il sito specifico della Route: //www.ruhr-tourismus.de/

[14] Parco progettato tra il 1990 e il 2002 a Duisburg da Latz+Partner, Latz-Riehl, G. Lipkowsky.

[15] Progetto del 2001 a cura degli architetti Rem Koolhaas (OMA) e Heinrich Böll. Nel 2006 si aggiunge la Zollverein School of Design progettata dallo studio SANAA.

[16] Torre edificata sul Syberg tra il 1893 e il 1902 in stile neogotico in memoria dell’imperatore Guglielmo I su progetto di Hubert Stier con sculture di Adolf von Donndorf. Nel 1935 il monumento viene ricostruito su progetto dello scultore Frederick Bagdons secondo l’architettura nazionalsocialista.

[17] La struttura presenta delle crepe che oggi ne impediscono la fruizione originaria, pertanto risulta transennata e osservabile solo perimetralmente.

[18] Il tetraedro è progettato dall’architetto Wolfgang Christ e completato nel 1995. Di notte la parte sommitale si illumina secondo l’installazione dell’artista Jürgen LIT Fischer.

[19] Gli itinerari enogastronomici, tradotti non solo nelle tipiche strade dei vini e dei sapori che toccano le principali eccellenze dei territori, non son gli unici casi di penetrazione della campagna. Nuovi itinerari interessano infatti i parchi agricoli periurbani, attraversando le campagne urbane, figure territoriali sempre più diffuse con l’urbanizzazione estensiva del territorio. Cfr. P. Donadieu, Campagne urbane. Una nuova proposta di paesaggio della città, Donzelli, Roma 2016 o M. Mininni, Approssimazioni alla città. Urbano, rurale, ecologia, Donzelli, Roma 2013.

[20]  Il progetto è del 2007-2008, con Andreas Sagmeister Siegfried Pohl (studio fattibilità) e la realizzazione del 2009-2011.

[21] M. Mulazzani, Werner Tscholl. Architetture Topografiche, in “Firenze Architettura”, n. 2, 2016, pp. 58-69.

[22] Responsabile di questo sistema è l’Amministrazione Norwegian Public Roads Administration (NPRA) che ha sede a Lillehammer //www.nasjonaleturistveger.no/en/routes

[23] Le tratte sono Varanger, Senja, Andøya, Lofoten, Helgelandskysten, Atalnterhavsvegen, Geiranger – Trollstigen, Gamle Strynefjellsvegen, Rondane, Sognefjellet, Valdresflye, Gaularfjellet, Aurlandsfjellet, Hardanger, Hardangervidda, Ryfylke, Jæren.

[24] Architetti: 3RW – Sixten Rahlff.  Architetti del paesaggio: Smedsvig Landskapsarkitekter AS.  Artista: May Elin EikaasBjerk.

[25] La Ciclovia del Sole corre da San Candido a Palermo. Attraversa 11 regioni. Gpx del percorso

//www.bicitalia.org/yourls/cps

 

[26] Il progetto del 2015 fa parte delle Smart Highway con cui lo studio Roosegaarde, insieme alla società Heijmans, cerca di sperimentare nuove tecnologie eco-friendly per realizzare strade intelligenti utilizzando luce, energia e informazioni che interagiscono con la situazione del traffico.

[27] La località è parte del Comune di Travacò Siccomario (PV).

[28] Inventori di questo asfalto “autoilluminante” sono gli esperti del TPA Sp. z o.o. – l’Istituto Tecnologie del Futuro di Pruszkow (Polonia).

[29] GARDA BY BIKE è un itinerario ciclabile di 190 km nel periplo del Lago di Garda, collocato in una posizione strategica, crocevia tra i due percorsi Eurovelo EV7 “Itinerario dell’Europa Centrale” ed Eurovelo EV8 “Itinerario Mediterraneo”, e quindi direttamente connesso alla rete ciclabile europea.